Ma come sarà la città del nuovo millennio?

Sarà una città non più fondata sulla separazione dei luoghi da quello della produzione a quello del mercato a quello dell’abitare mentre le presenze simboliche erano finora riservate al centro storico. Su questo si sono basati il binomio centroperiferia e la relazioni gerarchiche delle rispettive funzioni. Oggi tutto ciò è saltato: siamo nella fase della post-metropoli, la città-territorio fatta di spazi indefiniti in cui gli eventi accadono sulla base di logiche che non corrispondono più a un disegno unitario d’insieme. E questo ha creato uno spaesamento che è innanzitutto dentro di noi. Per appaesarci di nuovo, in un mondo mobile e in fuga, è necessario dare un nuovo senso all’abitare, all’essere nei luoghi, fotografandoli per quelli che sono. Non 2 servono slogan, ma nuovi sguardi e nuovi stili di vita. È impossibile programmare e pianificare la città-territorio con gli strumenti che abbiamo utilizzato finora. Servono, invece, percorsi di progettazione ad alta risoluzione, capaci di mobilitare le comunità locali, cioè i singoli soggetti e i gruppi che le compongono senza più separarli per categorie e ingabbiarli in determinati interessi specifici. Si tratta di cogliere la molteplicità e, al contempo, l’unitarietà dei bisogni degli individui, ricomponendone i frammenti. In tal modo anche i luoghi dell’abitare non potranno più essere spazi chiusi, ma ogni edificio o spazio deve potersi trasformare. Ognuno sarà polivalente e ingloberà diverse funzioni in relazione con altri edifici o spazi. Si tratta di produrre innovazione sociale in ambiti strategici della riqualificazione urbana. Si pensi solo al tema del cibo: esso lega in modo stretto le persone, la vita delle comunità, la gestione dei processi produttivi e di creazione di valore, con la salute e la qualità della vita, la capacità creativa, l’interazione con le risorse naturali, con la terra e la biodiversità, la loro gestione e salvaguardia, la gestione e la produzione di rifiuti, la salvaguardia dell’aria e dell’acqua. Sono tutti aspetti che pongono l’esigenza di una diversa regolazione del metabolismo urbano ovvero dei procedimenti che regolano il funzionamento della produzione, trasformazione, uso e gestione dei rifiuti connessi alle funzioni alimentari, al fine di innalzare la resilienza e ridurre l’impronta ecologica connessa a tali funzioni. In questa trasformazione in atto, Corviale è all’avanguardia con la crescente osmosi tra il palazzone con la campagna circostante (fattorie sociali, farmer’s market, gruppi di acquisto solidale, ecc.) e con i servizi che man mano si sono aggregati: Consiglio Municipale, Comando della Polizia Municipale, sede dei nuclei tecnici e delle risorse umane, Mitreo, Biblioteca, ecc. Per leggere questo apparente caos in continua trasformazione occorre sempre di più avere sotto gli occhi le mappe del territorio. Più un territorio autorappresenta le sue funzioni sotto forma di mappatura in continuo divenire più il suo destino evolve in un processo di riappropriazione collettiva della propria identità. È attraverso le mappe degli input di approvvigionamento e di quelle degli output di espulsione verso le reti urbane che viene alla luce l’interconnessione col sistema urbanizzato su scala planetaria. Anche su questo Corviale è all’avanguardia nel suo immaginarsi e definirsi in quanto mappa di territorio in trasformazione. Il Distretto si autodefinisce giorno per giorno modificando di continuo la mappa delle sue funzioni.

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